La purezza, soprattutto in campo culturale, é un concetto astratto: tutti infatti dobbiamo qualcosa a qualcuno. Quando ad esempio da veneziano parlo di cibo, non posso non ricordare a me stesso che la ricchezza della cucina veneziana (es. La cucina veneziana, a cura di P. Zatta, Terraferma editore) deve moltissimo alle sue molteplici contaminazioni col Medio Oriente con il quale la Serenissima ha intessuto per secoli rapporti fruttuosissimi. Nei miei viaggi di studio o di piacere in vari paesi del mondo mi sono accorto ben presto che la “cucina migliore” (una nostra fisima tutta italiota) è solo una leggenda metropolitana. Tutte le culture culinarie hanno qualcosa di importante da insegnare…sempre!
Occorre tuttavia avere molta umiltà d’approccio ed entrare nella cucina degli altri in punta di piedi, armati di curiosità e di voglia di capire. Cominceremo allora ad apprezzare quello che in un primo momento potrebbe essere ostico per il nostro angusto modo di degustare e scopriremo così mondi nuovi. Sulla cucina mediorientale sono stati scritti numerosi libri, ma se non ci sono degli interessi specifici difficilmente ci si mette a fare uno sforzo di lettura non facile. Consiglio allora per un approccio soft and reliable due testi che ho trovato di piacevole lettura, ricchi di informazioni e facili da utilizzare per chi vuol cimentarsi nella parte pratica. Questi sono: Sapori arabi: Ricette e racconti del vicino oriente di Salah Jamal, 2005 e La cucina ebraica: Ricette e racconti da tutto il mondo di Clarissa Hyman, 2003, I ed., ambedue dello stesso editore Guido Tommasi (www.guidotommasieditore.it).
Il primo autore, è un palestinese di Nablus (Sichem per chi ha ricordi biblici) in Transgiordania, fuggito nel 1967 dalla terra natia a sedici anni in seguito all’occupazione israeliana nella Guerra dei sei giorni. Deciso a recarsi a studiare in Inghilterra si fermò per una sosta a Barcellona dove vive a tutt’ora. Si è laureato prima in medicina e poi in Geografia e storia. Ora insegna “Diversidad Cultural y Alimentaciòn”, nella catalana Università privata Vic. Del cibo Salah ne ha fatto un elemento di identità e di scambio culturale. Col suo “Sapori”Arabi” ha vinto il premio “World Cookbook Award 2000” come miglior libro di cucina etnica. Il libro di Salah è stato per me un tuffo in un mondo che apprezzo molto e un bel ritorno nella cucina iniziatica della mia giovinezza con varie ricette che hanno contaminato la cucina veneziana e non solo, dai “Risi in brodo” (Ruzz), i “Risi col latte” (Ruzz bi’l halib) ai maccheroni col sugo di pomodoro e carne (Ma’karuna), alle melanzane ripiene (Bitjnia mahshi) che ben ricordano la provenienza di questa solanacea o alle zucchine ripiene (Kusa mahshi) fino ai panzarotti (Qatqyf) che trovano varianti dolci o salate in tutta la nostra penisola. E tante altre cose ricche di spezie, di profumi, di memorie. E’ un bell’ immergersi quello della lettura di questo piacevolissimo e molto interessante viaggio gastronomico ricco di ricette facili per chi si vuol cimentare nella parte pratica.
Il secondo testo che consiglio, l’ho comperato al Museo Ebraico nel Ghetto di Venezia in una delle mie non rare visite in quel piccolo mondo per l’ acquisto di dolci tipici “giudii”. Qui ho pure comperato un must da leggere tutto d’un fiato di Riccardo Calimani, Storia del ghetto di Venezia, Mondadori, 2001. L’autrice del secondo libro che consiglio é Clarissa Hyman, una giornalista di cibo e di viaggi, autrice di vari libri di cucina ebraica, ma non solo (ha scritto anche sulla cucina siciliana), vincitrice nel 2002 anche lei di un premio prestigioso come il “Glenfiddich Foog Writer of the Year”. Gli ebrei hanno fatto del cibo, durante la loro lunga storia, occasione non solo di momenti di alta spiritualità (vedi l’esempio dell’ultima cena di “Gesù ebreo”, altro libro del Calimani), ma anche di momenti di piacevole convivialità familiare ed amicale, come ben descrive l’autrice nella sua sostanziosa introduzione. “Da sempre, gli ebrei parlano molto di cibo, in parte perché le proibizioni alimentari intensificano il piacere di ciò che è permesso”.
Anche in questo libro ho avuto un balzo nella mia memoria culinaria ancora tutta viva e vegeta come con i “bigoj in salsa”, la zucca barucca (dall’ebraico “baruch”, benedetto), spinaci saltati con olio e aglio, i vari piatti con l’oca – l’alternativa ebrea al nostro maiale – i budini col riso, il piatto di fegato (di pollo o manzo) che ben ricorda il “fegato alla veneziana” con abbondante cipolla bianca di Chioggia. Poi nel libro le ricette prendono il volo del meticciato enogastronomico nei vari continenti alla ricerca di quei piatti che hanno contaminato o sono stati contaminati nell’eterno Esodo del popolo ebraico. Anche qui, la lettura è piacevolissima e le ricette facili da eseguire. Per chi non vuol faticare e passa per il Ghetto di Venezia può provare gustose ricette Kosher in un grazioso ristorantino che là tutti conoscono. Che resta da dire ancora, se non una parola di speranza e di pace: Shalom Aleichem o Salam Aleik.